IL PRETORE Letti gli atti, a scioglimento della riserva, osserva quanto segue. F a t t o Con atto di pignoramento presso terzi il creditore Adamo Giuseppe pignorava, in danno del debitore Ministero dell'interno e presso il terzo Banca d'Italia, servizio di Tesoreria provinciale di Avellino, quanto dovutogli in virtu' di sentenza esecutiva. Non si costituivano ne' il debitore ne' il terzo. Il creditore chiedeva disporsi il giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo. Il V.P.O. G.E. si riservava. D i r i t t o Il V.P.O. G.E., ritiene sussista un questione di Costituzionalita' della legge 22 luglio 1994 n. 460 per la conversione in legge con modificazioni del d.-l. 25 maggio 1994 n. 313 recante la disciplina dei pignoramenti sulla contabilita' speciale delle prefetture, delle direzioni di amministrazioni delle Forze armate e della Guardia di Finanza, in relazione agli articoli 3, 24, 25, 28 e 113 della Costituzione. Tale questione e' pregiudiziale al richiesto giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo. Peraltro e' ben noto che la mancata comparizione del terzo e' legata ad un'intepretazione della legge n. 460/1994 in virtu' della quale si ritiene nullo di ufficio il pignoramento che si considera non proposto con le modalita' di cui alla legge stessa. Orbene, la questione di costituzionalita' non e' manifestamente infondata per i motivi che seguono. Con la legge n. 460 del 1994, il legislatore ripropone tesi e principi gia' superati dalla Consulta. La norma vorrebbe infatti introdurre nuovamente il superato principio della impignorabilita' delle somme di denaro e di crediti pecuniari dello Stato e degli enti pubblici in base al principio della divisione dei poteri. Argomentavano i sostenitori di quell'orientamento che la tutela dell'indipendenza dell'amministrazione esigeva che il g.o. non avesse ingerenza nella condotta degli affari amministrativi ne' influenzasse i tempi ed i modi necessari a soddisfare gli interessi pubblici. La discrezionalita' della p.a. nell'uso delle proprie risorse patrimoniali doveva restare integra, con la conseguenza che, nell'eventualita' di condanna pecuniaria, la soddisfazione del credito con l'azione esecutiva incontrava il duplice limite nello stanziamento in bilancio della relativa spesa e dell'emissione del titolo, ad ottenere il quale non vi sarebbe stato diritto soggettivo stante la discrezionalita' dell'amministrazione nella scelta dei crediti da soddisfare. Corollario di questa impostazione era che bastava l'iscrizione di somme o di crediti nei bilanci preventivi dello Stato o degli enti pubblici per farli qualificare "beni destinati ad un pubblico servizio" ex art. 828, ultimo comma, c.c., quindi inalienabili e correlativamente inespropriabili sostenendosi, in particolare, che la legge di approvazione del bilancio non vincolava soltanto la p.a. ma operava anche nei confronti dei terzi. Senonche' questa giurisprudenza e' stata modificata dalla Consulta che, con le sentenze nn. 32/1970 e 161/1971 avevano negato che la intangibilita' dell'atto amministrativo traesse origine dal principio della divisione dei poteri perche' l'art. 113 della Costituzione, ultimo comma, lascia al legislatore ordinario di determinare quali organi di giurisdizione possano annullare gli atti amministrativi. Su questo presupposto la dottrina ha sostenuto che la p.a. ha una posizione di preminenza non in quanto soggetto, ma in quanto esercita una potesta' specificamente ed esclusivamente attribuitale nelle forme loro proprie. In altre parole e' protetto non il soggetto, ma la funzione, ed alle singole mnifestazioni della p.a. che e' assicurata efficacia per il raggiungimento di fini ad essa assegnate. Di contro, fuori dall'esercizio delle predette funzioni, l'azione della p.a. rientra nella disciplina di diritto comune e, ove venga a ledere quello di altro soggetto, e' completa la potenzialita' di tutela del g.o., incontrando il solo limite di non avere egli il potere di sostituirsi all'amministrazione nell'emanare un atto ne' condannarla ad emanarlo. Su questa piattaforma logica la giurisprudenza e' pervenuta all'affermazione che l'ammissibilita' della condanna della p.a. al pagamento di somme di denaro comporta come conseguenza l'ammissibilita' dell'esecuzione per espropriazione. E' vero che gli art. 826, 828 ed 830 del c.c. definiscono la condizione giuridica dei beni del patrimonio indisponibile dello Stato e degli Enti Pubblici: pero' la individuazione dei beni diversi da quelli che per loro natura sono destinati a far parte del patrimonio indisponibile necessita l'accertamento del vincolo di destinazione al pubblico servizio. La sentenza n. 138/1981 della Consulta affronta il tema della individuazione delle modalita' per l'apposizione del vincolo alle somme di denaro, attesa la loro natura fungibile e strumentale. Quei giudici, in quell'occasione, affermarono i pregressi principi e chiarirono che i limiti di pignorabilita' vanno individuati correttamente in relazione alla natura ed alla destinazione degli specifici beni dei quali di volta in volta si chiede l'espropriazione. Nel caso in esame la verifica da effettuare e' se sia legittimo, sotto il profilo costituzionale, il vincolo imposto dalla legge n. 460/1994 sulle somme che destinerebbe al soddisfacimento di specifiche finalita' pubbliche. La prima osservazione che si impone e' che l'art. 1, comma primo, recita: "I fondi di contabilita' speciale delle prefetture, delle ... non soggetti ad esecuzione forzata". Un principio questo che tende a realizzare una impignorabilita' generalizzata, con il solo limite - a contrario - del reperimento di somme non destinate: ovvero un'impignorabilita' che puo' trovare il suo presupposto solo nella superata dottrina, della separazione dei poteri, facendo peraltro paradossalmente rientrare nella impignorabilita' anche quei cespiti destinati al soddisfacimento del creditore precedente. Precetti in sostanza, lo si ribadisce, che ci riportano indietro nel tempo e cioe' alla tutela del soggetto e non della funzione. Senza contare l'integralista cancellazione in favore del prefetto del precetto in virtu' del quale: "il debitore risponde dell'adempimento con tutti i suoi beni presenti e futuri". Un venir meno, peraltro, della par condicio creditorum proprio a danno di un creditore, il portatore di handicap, sul soddisfacimento del quale poggia la funzione istituzionale che giustifica l'ente. Clamorosa e' poi la violazione degli art. 3, 24 e 25 della Costituzione realizzata attraverso la inspiegata deroga alla competenza territoriale, o al divieto di utilizzare consolidati strumenti processuali di cui all'art. 1 della legge: deroghe e divieti che confliggono nella maniera cosi' decisa con principi attentare ai quali significherebbe incrinare significativamente l'intero assetto normativo.